giovedì 11 dicembre 2008

Tredita - Dialoghi con Stè #11

La prima volta che Tredita vide l’amore fu in una stanza dell’Odeon, nei pressi della stazione centrale.
Era stato suo zio a portarlo lì, caricandosi dell’onere di traghettare quel nipote figlio di NN nell’età adulta, come suo padre aveva fatto con lui e suo nonno ancora prima. Tredita si era piegato alla volontà dello zio con un senso di timore e curiosità, avviandosi all’appuntamento con la rassegnazione di chi è ormai cosciente dell’inevitabile e con la consapevolezza che, a causa di quella malformazione che si portava dietro dalla nascita, difficilmente qualcuna si sarebbe avvicinata a lui se non per soddisfare un macabra curiosità.
Quando giunse all’Odeon, Tredita si inerpicò per piani e piani, fra pianerottoli con la moquette consumata e dalla poca luce, proseguendo con lentezza per non «sprecare il fiato» come insisteva quel benefattore dello zio. Quando fu in cima – a quel piano che gli habitué non senza un certo gusto per l’iperbole chiamavano «il settimo cielo» – Tredita riuscì appena a guardarsi le scarpe e a tentare di raccogliere il coraggio prima di varcare quella soglia che già aperta lo attendeva.
E fu lì, su un letto sfatto dalle lenzuola grigie, mentre da una sigaretta aspirava fumo con due labbra rubino, stringendola tra dita ingiallite e dalle unghie mal smaltate che Tredita vide l’amore: grande, morbido, con un sorriso accondiscendente e due occhi piccoli che luccicavano fra le fessure delle palpebre. E quell'amore l’accolse con benevolenza e l’accudì e con pazienza lo condusse a quella riva che noialtri eravamo ben lontani dal solo supporla, e che una volta raggiunta avrebbe consentito soltanto di guardare l’altra parte senza più toccarla.
Tredita conobbe l’amore che non guardò con disprezzo o repulsione a quei due artigli che aveva al posto delle mani ma vi scivolò sopra con la compiacenza che si mostra nei confronti di un difetto di poco conto. Quell’amore, quella prima volta, accolse Tredita fra le braccia lasciando che si adagiasse con calma e facendo ciò che doveva con un silenzio che era più attenzione che abitudine e di cui Tredita fu grato. Fu un amore che non chiese nulla in cambio se non il dovuto, che non chiese rispetto pur sapendo di meritarlo e per questo lo ottenne, un amore che non volle comprensione ma solo onestà e che lasciò a Tredita il ricordo di una voluta grigia che s’alzava dal posacenere accanto al letto e che si perse poco prima di raggiungere il soffitto e subito dopo che quell’amore gli tenne il viso fra le mani a dargli un bacio in fronte per benedirlo.


M’arriva Stè a casa.
«Ohi, hai sentito di Tredita?», mi dice.
«No, cos’è successo?», gli dico.
«Di nuovo l’herpes, fratello», mi dice.
«E chi te l’ha detto?», gli dico.
«Gira voce all’Odeon», mi dice.


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