mercoledì 10 dicembre 2008

Un amore

La stazione era deserta. Antonio e Chiara sedevano su una panchina all’ultimo binario.
«È stata una cazzata, non avremmo dovuto farlo», disse Antonio.
«Rilassati, ormai è andata», disse Chiara.
Antonio si alzò sbuffando. Intrecciò le mani dietro la nuca fissando un punto al di là dei binari.
«Siediti e stai tranquillo», disse Chiara lisciandosi i capelli.
«E se vengono a cercarci?», chiese Antonio.
«Anche se fosse, siamo maggiorenni e non possono fare niente».
«Io sono maggiorenne da un mese, Chiara…».
«Basta e avanza».
Antonio tornò a sedersi, puntando i gomiti sulle gambe e prendendosi la testa fra le mani. Chiara cominciò ad accarezzargli il collo.
«Dai», disse. «Andrà tutto bene, non preoccuparti».
«Almeno arrivasse ’sto cazzo di treno».
«È in ritardo, dai… Tranquillo».
Chiara prese una sigaretta dal pacchetto che aveva in borsa, l’accese e la passò ad Antonio. «Fuma, cosí ti calmi», disse.
Antonio prese la sigaretta e cominciò a tirare lunghe boccate. Scivolò un po’ in avanti, appoggiando la nuca allo schienale della panchina.
«Certo che fa davvero caldo», disse Chiara.
«Già. E non c’è un cazzo di nessuno».
«Tutti in ferie», aggiunse Chiara. «Tutti a godersi le vacanze».
«Le vacanze… Te le ricordi le nostre?», disse Antonio.
«Non erano niente di che».
«Io mi sono sempre divertito».
«Tu ti sei sempre divertito con poco», disse Chiara.
«Be’, meglio cosí…».
Chiara tirò fuori dalla borsa una flaconcino di smalto rosso. Svitò il tappo e cominciò a passare il pennellino sulle unghie della mano destra.
«Perché metti quello smalto?», chiese Antonio. «È da puttana».
«Mi sembra che la cosa a volte ti piaccia», disse Chiara continuando a mettere lo smalto.
Antonio non disse nulla. Si alzò di nuovo e cominciò a camminare lungo il binario. Si fermò ad un distributore automatico.
«Vuoi qualcosa?» urlò rivolto verso Chiara.
«Una coca!».
Antonio si frugò in tasca e tirò fuori gli spiccioli. Prese una coca e un sandwich. Il sandwich rimase impigliato nel distributore e Antonio faticò un poco per tirarlo fuori. «Fanculo», disse.
Tornò alla panchina e diede la lattina a Chiara.
«Mettila lí», disse Chiara indicando la panchina con un segno della testa. Era ancora occupata con lo smalto. Quando ebbe finito avvitò il pennello nel flaconcino e rimise tutto in borsa. Prese ad agitare le mani nell’aria e a soffiare di tanto in tanto sulle unghie.
Antonio lanciò via la sigaretta e tirò fuori il sandwich dal contenitore di plastica.
«Ne vuoi un po’?», chiese rivolto verso Chiara.
« No, grazie».
Rimasero in silenzio, lui a mangiare e lei a lasciar asciugare lo smalto.
Il caldo, giú in fondo ai binari, faceva tremolare l’aria. Antonio si incantò a guardare quell’oscillazione lattiginosa, indefinita e impalpabile.
Il rumore della lattina che si apriva gli fece battere piú volte le palpebre. Si voltò e vide Chiara che sorseggiava la coca. Un rivolo di bibita le era scivolato lungo una guancia. Antonio allungò un dito, lo passò sul mento di Chiara e se lo portò alla bocca per succhiarlo. Lei lo guardò e sorrise, poi gli si avvicinò poggiando la testa sulla sua spalla.
«Sono stanca», disse.
Antonio non rispose. Sentiva sulle labbra il sapore dolciastro della bibita. Ritornò a fissare il caldo tremolío in fondo ai binari.
«Che cosa faremo?», chiese dopo un po’.
«Vedremo, non lo so ancora», rispose Chiara.
Antonio chiuse gli occhi e tirò fuori aria dal naso.
«Cosa diranno mamma e papà?», disse ad un tratto.
«Che importa…», rispose Chiara.
«A te non importa mai d’un cazzo!», disse Antonio alzandosi dalla panchina.
«Cosa vuoi che ti dica?», disse Chiara. «Cosa vuoi che pensino? Saranno sconvolti, disgustati. Cosa vuoi che ti dica! Non lo so!», urlò Chiara.
Antonio si fermò al ciglio del binario e cominciò a piangere.
«Non metterti a frignare, adesso», disse Chiara. «Non c’è piú un cazzo da fare se non quello che stiamo facendo».
Nell’aria risuonò il fischio di un treno. Una voce registrata annunciò il passaggio di un diretto, avvisando di non oltrepassare la linea gialla.
«Spostati da lí», disse Chiara.
Antonio non si mosse. Il treno fischiò ancora, stavolta piú a lungo.
«Spostati da lí, cazzo!», urlò Chiara alzandosi. Prese Antonio per un braccio e lo tirò verso l’interno della banchina. Il treno sfrecciò loro di fianco.
«Lasciami!», urlò Antonio, divincolandosi dalla stretta.
Chiara lasciò andare la presa. Il treno passò allontanandosi.
«Stronzo», sussurrò e tornò a sedersi sulla panchina. Si sfregò le mani sul viso, sbuffando forte. Antonio la seguí, sedendosi al suo fianco.
«Scusa», biascicò.
Chiara gli passò un braccio intorno al collo e lo avvicinò a sé. Strinse il braccio come a volerlo soffocare, come quando, da bambini, giocavano alla lotta. Guardò Antonio, sembrava un bambino adesso. Ma era bello. E lei lo amava. Non poteva farci nulla. Le cose stavano cosí. Erano andate cosí. Lei amava suo fratello e suo fratello amava lei.
«Mi ami, vero?», disse Chiara sfiorandogli le labbra con un dito.
Antonio non rispose. Si liberò dall’abbraccio di Chiara e si discostò un poco.
«Mi ami, vero?»,tornò a ripetere Chiara, guardandolo negli occhi. «Vero che mi ami?».
Antonio non rispose. Si alzò e andò di nuovo al distributore. Si voltò e guardò Chiara, indeciso se le sembrasse piú bella di sempre o se fosse solo un’impressione. Se bella non lo era mai stata.
«Vuoi qualcosa?», disse.


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