giovedì 11 dicembre 2008

I gemelli Dash - Dialoghi con Stè #7


Io bivaccavo sempre con i gemelli Dash.
I gemelli Dash erano chiamati così perché erano due albini bianchi bianchi, allampanati e con gli occhi da coniglio nascosti dietro lenti fotocromatiche dalla montatura in osso.
I gemelli Dash avevano un sorriso ebete, uguale e quando erano contenti saltellavano agitando le mani su e giù, insieme.
I gemelli Dash sapevano un sacco di cose e quando le raccontavano lo facevano passandosi le battute come stessero recitando e ascoltarli era uno spettacolo.
Io li osservavo e guardavo prima uno e poi l’altro e pensavo: «Ma questi chi cazzo sono?». «I gemelli Dash», mi rispondeva una voce misteriosa. E con questo stava a dire che erano due fuori dal comune, fosse solo per quel fenotipo recessivo che li rendeva già così eccezionali.
Io bivaccavo sempre con i gemelli Dash perché i gemelli Dash erano intoccabili. Per motivi che non ho mai capito, tutti li rispettavano e mai torcevano loro un capello. Frequentarli mi assicurava l’immunità e, da buon vigliacco qual ero e quale sono rimasto, la cosa mi tornava di comodo, considerato anche che fra tutti quelli che conoscevo io ero il meno capace a tirare cazzotti.
A quel tempo, la forza della retorica era qualcosa di ancora sconosciuto ad una mente semplice come la mia e le questioni andavano risolte solo in due modi: o scazzottavi o te la davi a gambe. Io optavo sempre per la seconda.
Furono i gemelli Dash a introdurmi nel fantastico mondo della mediazione e della diplomazia. A stare con loro imparai l’arte della persuasione verbale, farcendo i miei interlocutori di risonanze lemmatiche che spesso ottenevano il risultato di confondere l’avversario ponendolo in una situazione di cognitivismo deficitario. Voglio dire, in pratica non capivano più un cazzo e lasciavano perdere.
Dei gemelli Dash perdemmo tutti le tracce nel passaggio dalle medie alle superiori. Loro cambiarono città e non se ne seppe più nulla. Sparirono durante un’estate, senza dire nulla e senza nemmeno salutare noi altri. Semplicemente, non si videro più e noi non facemmo altre che registrarne la partenza e archiviarne l’assenza.
Da allora, per una sorta di osmosi data dalla mia continuata frequentazione con i gemelli Dash, tutti continuarono a non torcermi un capello nonostante fossi l’oggetto più appetibile delle rimostranze fisiche di ragazzini troppo presi dall’adrenalina e dalla voglia di menare le mani.
Ai gemelli Dash devo una adolescenza priva di braccia rotte e occhi pesti: gliene sarò grato per sempre.


L’altra sera passa Stè a casa tutto eccitato.
«Non sai cosa mi è successo!», mi dice.
«Hai avuto un’erezione?», gli dico.
«Fottiti... Ho incontrato i gemelli Dash!», mi dice.
«Ma no?», gli dico.
«Incredibile... Oh, sono rimasti bianchi uguali!», mi dice.
«Sparisci imbecille», gli dico.


Nessun commento: