giovedì 11 dicembre 2008

Al bar - Dialoghi con Stè #9

La Vanda la vedemmo la prima volta una sera che lo Scuro, a suo dire, era alle prese con il peggior gintonic della sua vita: fermo al bancone del bar del Gino, tentava di tenere a bada una studentessa di sociologia che gli parlava della taranta.
«Sì certo... il ragno», disse lo Scuro.
«Taranta, non tarantola, è un ballo», disse lei.
«Uh, ma non sei entomologa?», disse lo Scuro.
«Fanculo», disse lei.
Noi altri mocciosi eravamo accroccati intorno al videogioco dell’Asteroids come un nugolo di vespe all’alveare, alitando sul collo di Tredita che stava battendo tutti i record possibili e immaginabili, quando riconoscemmo l’inconfondibile inchiodata dell’Alfetta del Grillo.
«Arriva ‘u strunz», disse Tredita continuando a frantumare asteroidi con flemma diabetica.
Tredita non soffriva il Grillo da quando questi gli aveva ingravidato la sorella scaricandosene le responsabilità e lasciandola sola con la pancia e la vergogna. Il Grillo entrò nel bar del Gino con i capelli laccati più del solito, il borsello di cuoio sulla spalla destra, un vistoso gonfiore al basso ventre ma, soprattutto, con la Vanda che gli cingeva il fianco annunciata da un vezzoso aroma agrumato e da una sconveniente risata che fece tremolare la vetrinetta impolverata con l’esposizione dello Strega che il Gino teneva dietro al bancone.
Noi altri abbandonammo miseramente il sindattilo Tredita al suo tentativo di record, e cominciammo a dar di gomito indicandoci con un veloce e poco discreto gesto del mento il passaggio della Vanda, abbarbicata su un paio di zatteroni con la zeppa in sughero, cinta in un vestitino leggero a stampa floreale e con i capelli vaporosi da sembrare una nuvola rossa.
«Mamm’ ‘ro Carmine e quant’ è bbona», cominciò a ripetere il Pinna come fosse un mantra tibetano.
Al quinto mammoracarminèquantebbona, il Nicchia gli disse con ferma diplomazia: «Hai rotto il cazzo, Pinna», senza con questo distogliere gli occhi dalla Vanda. Intanto i gemelli Dash avevano assunto una comune espressione da idioti, Stè aveva fatto scivolare una mano nella tasca dei pantaloni, a Cestino aveva preso a tremare una gamba e il Pigna per la prima volta si era ammutolito.
Il Grillo e la Vanda si avvicinarono allo Scuro e il Grillo, con un sorriso giallino fece segno alla Vanda che lo Scuro era lui.
Quando la Vanda parlò, la sua voce scivolò lungo le schiene di noi tutti come un’unghia sulla lavagna.
«Tu devi essere lo Scuro», disse la Vanda.
«Già», disse lo Scuro.
«Qui dicono che fai lo scultore», disse la Vanda.
«Se lo dicono loro», disse lo Scuro.
Lo Scuro fingeva una partecipazione ridotta ai minimi termini per non concederle la soddisfazione del vantaggio visto che della Vanda si diceva che non perdonava nessun tipo di debolezza.
«Chissà che sai fare con le mani», disse la Vanda.
«Giusto il necessario», disse lo Scuro.
«Quanto ci metti a farmi un mezzobusto?», disse la Vanda.
Lo Scuro le guardò la scollatura e trattenne a stento un singulto che noi altri invece lasciammo liberamente aleggiare fra le volute di fumo che riempivano il bar.
«Il tempo che ci vuole», disse lo Scuro.
«E quanto mi costerebbe?», disse la Vanda.
Lo Scuro alzò lo sguardo a guardarla negli occhi e vide che la Vanda sorrideva con una malizia troppo manifesta per essere finta o dissimulata.
«Per questo ci possiamo mettere d’accordo», disse lo Scuro, e allontanò il bicchiere di gintonic.
La Vanda prese il bicchiere e se lo portò alle labbra stampandovi sul bordo due linee grosse e rosse che erano la sua bocca. Poi posò il bicchiere e disse: «Domani passo allo studio».
E se ne andò com’era venuta, cingendo il fianco del Grillo sempre più gonfio nelle parti basse.
Prima di uscire, la Vanda lanciò uno sguardo a noi altri mocciosi e, passandoci accanto, allungò una mano ad arruffare un cespuglio di capelli ricci e stopposi per poi lasciarla scivolare lungo la guancia e afferrare il mento del fortunato fra due dita.
«Ciao», mi disse sorridendo.
E io me ne venni nelle mutande per la prima volta in vita mia, con il Pinna che continuava a ripetere mammrocarminèquantebbona, lo Scuro ipnotizzato dal rossetto lasciato sul bicchiere, i gemelli Dash che ridevano come due beoti, Stè che moriva di invidia e Tredita che arpionava l’Asteroids scuotendolo forte e urlando: «Recòrd! Recòrd! Alla faccia ‘e chillu strunz’ cu’ l’Alfetta!».


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