giovedì 11 dicembre 2008

Il Pigna - Dialoghi con Stè #6

A passare davanti quei campi disseminati di balle di fieno, piccole e tozze da sembrare da lontano biglie da schiccare con le dita, lì ci vedo sempre il Pigna in pantaloncini e canottiera, magro e abbronzato, con ai piedi un paio di scarpe da ginnastica smesse dal fratello e tutte consumate.
Il Pigna lo chiamavamo così perché una volta sua nonno, esasperato dalla sua eccessiva vivacità che trasfigurava spesso nella molestia, disse che avrebbe preferito avere una pigna nelle mutande piuttosto che il nipote nei paraggi.
E in effetti il Pigna era veramente molesto e mai che si riuscisse a farlo stare fermo. Correva come un folle e tutto faceva con una concitazione che sembrava gli venisse da un desiderio incosciente di voler fare tutto e la consapevolezza immatura che non ci fosse abbastanza tempo per farlo.
Era veloce, il Pigna, non c’è che dire. Veloce nel catturare le lucertole e i grilli, nel saltare sulle rane e nell’afferrare le galline. Veloce quando veniva spedito dalla madre a ritirare la spesa dal droghiere quanto nel recuperare i palloni che si perdevano fra fossati e canali di scolo. Veloce nel lavarsi, nel vestirsi e nel parlare.
Ed era allegro, il Pigna. Di un’allegria sempre contagiosa, fatta di risate e occhi meravigliati, di pacche sulle spalle e abbracci che noi altri accoglievamo sempre con un certo indugiato imbarazzo.
Non si fermava mai, il Pigna, e nulla lo fermava. Sembrava voler divorare il mondo - quello che per noi era allora il mondo - e non lasciarne per nessuno.
La natura era il suo regno senza che lui volesse esserne il re e di quella si beava senza la responsabilità di un monarca per i sudditi ma con uguale benevolenza o tirannia.
Correva, il Pigna, saltava, si arrampicava, faceva il bagno nel fiume ridotto a smunto ruscello d’agosto, costruiva nascondigli e cantava senza che fra tutte queste cose intervenisse mai un attimo di tregua.
«Dai! Dai! Forza!», diceva ogni volta che ci vedeva troppo stanchi o illanguiditi nell’ozio e nella sonnolenza.
«Che facciamo!? Che facciamo!?», ripeteva con quell’insistenza molesta che però a noi non irritava mai.
Perché alla fine questo voleva il Pigna: fare; placare un’ansia che inconsapevole si portava dentro; riempirsi gli occhi di cose, la bocca di sapori, il naso di odori e le orecchie di suoni. E poi mischiare tutto e meravigliarsi di quanto quel tutto fosse inarrivabile e impossibile e in quella meraviglia dimenticarsi di pensare che proprio per questo quel tutto era insopportabile a viversi.

L’altra sera è passato Stè.
«Da quando non vai a trovare il Pigna?», mi dice.
«Da quando l’hanno dimesso», gli dico.
«L’hanno dimesso tre anni fa», mi dice.
«Ecco, da tre anni», gli dico.
«Potresti passarci però...», mi dice.
«E perché?», gli dico.
«Perché ne avrebbe a piacere», mi dice.
«Stè... Il Pigna nemmanco ci riconosce», gli dico.
«Vabbè, però che ne sai...», mi dice.
«Stè, riesce a parlare?», gli dico.
«No», mi dice.
«Si piscia ancora addosso?», gli dico.
«Sì», mi dice.
«Ecco, io il Pigna me lo voglio ricordare asciutto», gli dico.


Nessun commento: